Fuori Linea #4
«Sai cos`è la nostra
vita? La tua e la mia?
Un sogno fatto in
Sicilia.
Forse stiamo ancora lì e
stiamo sognando»
(L. Sciascia - Candido)
La cursa
Pare inverno, ma è ancora
autunno e, pure se la giornata è chiara, fa freddo anche in terra di Sicilia.
- Amuní, facciamo una
passeggiata, - dice.
Lei pensa una passeggiata
a piedi, ma lui prende l’auto. È un’Alfa Romeo GTV6 del 1981. Nobile e decaduta
come ogni cosa in quella casa solitaria sotto l’anticlinale del Monte Eurako.
Lei la chiama la Casa di
Nina, per l’asinella che la mattina, mentre prepara il caffè, scalcia alla
porta per entrare in cucina, a stinnicchiarsi.
Lui è vecchio e dimostra
più anni di quelli che ha. Ma gli piace atteggiarsi ancora da fimminaro, ricco
e potente. Anche se ora gli son rimasti solo debiti, guai e una moglie malata.
Per questo l’ha portata
lì. L’ha chiavata tutto un giorno e una notte. Per allontanare quelle ombre
scure che gli gelano le gambuzze corte. Ora s’è fatto di nuovo giorno e si
arrotola la prima sigaretta:
- Nica, - la chiama, - Nicuzza
prepara il caffè che andiamo a fare una passeggiata.
Lei vuole il mare: il
mare d’inverno, chiede. Scaglie azzurre che palpitano lontane, si intravedono
da sotto i merletti delle foglie degli alberi d’olivo che sommergono la casa.
Non risponde, non spiega,
sigaretta in bocca, finisce di lucidare l’Alfa.
- Acchiana, - dice.
Lei sale, si sistema su
un sedile da corsa, sporco, malandato, si allaccia una cintura di sicurezza
allentata che non assicura più nulla.
- Dove andiamo?
Non risponde, guida e si
arrotola un’altra sigaretta.
- Non metti la cintura?
E’ siddiato, non
risponde, tutte quelle domande lo infastidiscono. Mussia un no.
Ora è di nuovo padrone:
auto da corsa, ‘na fìmmina a fianco, rolex al polso, sigarette. Guida veloce e
sicuro.
Le Madonie si snodano
sotto le ruote dell’Alfa.
- La cursa, - dice.
Lei non capisce.
- Questo è il circuito
Florio,- spiega, - Ma di corse che ne sai tu, Nicaredda. Ci sono nato, ci sono
cresciuto, su questo circuito guidavo che non avevo ancora la patente.
Bar, caffè, ancora una
sigaretta e poi un’altra. E riprendono la passeggiata.
Lei è irritata. Lui ha
chiamato la moglie. Una lunga telefonata. Lei ha aspettato, seduta sola al
tavolino del caffè. Uomini che la fissavano.
Risalgono in auto. La
strada è deserta.
- Fammi vedere che pilota
sei.
- Ti spagni.
- Non mi spagno di nenti.
Non la guarda neppure.
Preme l’acceleratore, l’Alfa risponde docile. Lei guarda fisso davanti. Lui
accelera ancora e poi ancora. Tra loro cresce un silenzio ostile, la strada,
invece, é un nastro di velluto che scorre via, mentre il paesaggio madonita si dilata
duro, come il loro silenzio.
Lui vorrebbe che gli
dicesse basta, smetti, va bene così, ma lei laconica snocciola numeri: 150, 180,
185, 188, 195, 200.
Non lo dirà mai, lo sa.
Sospira, decelera gradualmente, rallenta, accosta, si ferma. Ha un leggero
tremito alle mani, è rosso in volto, si prepara un’altra sigaretta.
- Qui mi capitò un
incidente, stavo per superare quel gran pezzo di cornuto di un mio amico.
Perché in gara son tutti cornuti, anche gli amici. Mi si parò innanzi il muro.
Lei lo guarda, non
chiede, non risponde, non vuole sapere.
Riparte, piano.
Arrivano a casa senza scambiarsi
una parola. Entrati lui è preso da un furore muto, la spoglia, vuole prenderla
ancora e ancora, gli fa sangue, la sente docile e morbida tra le sue mani.
Poi lei con uno ciauto
caldo, gli sussurra all’orecchio: - A cardioaspirina, ta scurdasti.
Le si sguscia via da
sotto, va in cucina e fa entrare Nina a stinnicchiarsi un po’.
Lui rimane seduto sul
bordo del letto, il volto paonazzo, l’uccello moscio e grigio tra le gambe
sottili e bianche e quel gelo che risale e risale.