Il marziano
che mi batte implacabile sotto una gragnuola di diritti e rovesci e volè è, invece,
la Susi. L’ultima palla che mi tira è una fucilata. Prima che mi centri dritta
in fronte, tento di pararla lanciandole contro la racchetta. Poi appoggio male
il piede ed atterro con la stessa grazia di un sacco di patate, sollevando nubi
di terra rossa. Quando mi rialzo la caviglia destra si è gonfiata. La partita è
finita. Susi sorseggia sodisfatta una Fanta ghiacciata.
- “Tkz tkz,
certo che sei proprio terribile nel giuoco del tennis”.
Chi parla è
una ragazzetta magra con la frangetta scura ed un strano accento meneghino
incrociato col germanese. L’osservo perplessa, non la conosco anche se mi sembra
d’averla già incontrata.
- Tu sei una
di quelle che a scuola scioperano sempre e sono pure secchione”, - continua
quella imperterrita.
Certo ecco
dove l’ho vista: a scuola col gruppetto delle sfaticate menefreghiste che, durante
le assemblee, si imbucano in bagno a fumare e combinano danni.
- “Tu invece
sei una di quelle che ha rotto il lavabo nel bagno della scuola”, - le rispondo
risentita mentre, cautamente, cerco di appoggiare il piede con la caviglia
gonfia.
- “Ja, ja, natürlich
ich bin”, – risponde ridendo – “pochi minuti di sitzen sul lavabo rotten ed è venuto giù tutto, anche un pezzo di
muro”.
- “Son venute
giù anche le Madonne che deve aver tirato il parroco”, le dico (all’epoca la
sezione sperimentale del glorioso Liceo Brocchi di Bassano era priva di sede ed
aveva trovato momentanea collocazione presso la Parrocchia Santa Croce). Ci
guardiamo dritte negli occhi e ridiamo insieme di un riso complice.
- “Mi chiamo
Emanuela, alcuni mi chiamano la Tedesca, per via delle mie origini anche se
sono nata a Milano, ma tu chiamami Manu”.
- “A me,
invece, chiamano Pero, per via del mio cognome, ma se lo fai anche tu ti faccio
ingoiare la pallina”.
- “Ja, ja, la
bàleta, come sei iperbolica – ride, ride sempre – dai vieni, casa mia è qui
vicino, ti do del ghiaccio da mettere sulla caviglia”.
In effetti la
mia caviglia è sempre più gonfia e malandata, l’osservo mesta e replico in vena
di fare della filosofia dello sport:
- “Credo che
smetterò di giocare a tennis e tornerò in piscina. Il tennis è completamente
inutile nella vita, imparare a nuotare bene, invece, può salvarti la…ehi!, ma, ma,
Manu!, mi stai ascoltando? dove te vai?”
Manu,
racchetta in spalla e passo spedito si sta dirigendo verso l’Itis. Ora, se la
nostra scuola è a schiacciante prevalenza femminile e con ragazzi troppo
impegnati a discettare di politica per distrarsi con il sesso. L’Itis, invece,
è composto da una popolazione prevalentemente maschile, costantemente
travagliata da grandi violente ondate di testosterone. Insomma è meglio starci
alla larga, soprattutto, quando aprono il cancello alla fine delle lezioni
pomeridiane.
Giunte
davanti all’Itis, quella balenga d’una Tedesca, impavida e impudica nel suo
corto gonnellino bianco, attacca bottone con tutti i ragazzi che escono
dall’istituto. Nel giro di pochi minuti siamo circondate da un’orda di varones le
cui intenzioni comincio a temere non siano proprio del tutto benevole. E,
infatti, mentre cerco prudentemente di starmene in disparte saltellando sul
piede sano, uno di questi ragazzetti brufolosi si stacca dal gruppo, afferra
Manu, l’immobilizza serrandole le braccia e, lesto, lesto, le ficca la lingua
in bocca.
Non faccio a tempo
a riprendermi dallo stupore, che Manu si è già liberata dalla presa, ha
afferrato la racchetta e – con la freddezza e la precisione infallibile di un
cecchino tedesco – gli ha tirato un terribile diritto in piena faccia. Il
poaréto è ancora lì che barcolla quando viene centrato sull’altra guancia da un
ancora più terribile rovescio.
Tutt’intorno
è calato un silenzio stupefatto, Manu è li ferma, racchetta in pugno, in
guardia come se dovesse giocare la finale a Wimbledon.
- “Via!,
màta!, andiamo! scapèmo”, - grido, mentre la trascino prima che finisca
l’effetto sorpresa di quella blitzkrieg
vittoriosamente combattuta a racchettate (in faccia).
Per
l’agitazione dimentico la caviglia dolente e provo correre, mentre lei mi
sostiene e, in vena di fare della pedagogia aulica, mi spiega paziente:
- “Has du
gesehen che nella vita è utile anche giuocare gut a tennis?”
- “Ja, ja, ich habe gesehen, ma da domani torno in piscina”