Antefatto: la traversata
Dall’isola di Vulcano si può scegliere
di arrivare a Milazzo con vari mezzi natanti, oppure si può scegliere di
arrivarci a nuoto. Colui che optasse di mettersi per mare nuotando, può
prendersi lo scialo di scegliere la rotta che più gli garba: Vulcano – Capo
Milazzo (23km), oppure Vulcano – Capo Calavà (21km).
La rotta Vulcano – Capo Milazzo è
stata percorsa per la prima volta nel 1978, da Gianni Golini (Roma), seguito
nel 1986 da Giuseppe Nicosia (Milazzo) che ancora oggi detiene il record.
In tutto, ad oggi, solo 9
nuotatori, sono riusciti a concluderla ottemperando le regole internazionali
del nuoto in acque libere. Oltre ai già citati Golini e Nicosia, costoro sono:
Cristina Scotto (2007), Nino Fazio (2011), Cristina Faranda (2012), Enrico
Giacomin e io (2016[1]),
Fabrizio Mandanici e Tindaro Ullo (2017).
La rotta della traversata Vulcano
– Capo Calavà, invece, è stata percorsa per la prima volta, nell’estate 1987, da
Nino Fazio, seguito due anni dopo da Cristina Scotto: nuotatori fortissimi, grandi
interpreti delle acque libere siciliane ed entrambi con record di traversata
(Scotto, nel 2005 e Fazio nel 2006). Oltre a Scotto e Fazio (che l’hanno nuotata
e ri-nuotata per ben tre volte) la Vulcano – Capo Calavà è stata percorsa (seguendo
le regole internazionali delle acque libere) anche da Fabrizio Mandanici
(2005), Daniel Douglas Di Pierro (2016) e da ultimo - ad oggi - da me e
Tindaro, di cui di seguito si tenterà di raccontarne i fatti di come è andata e
di come ce la siamo spassata.
P.s.: altri due nuotatori hanno
percorso questa rotta indossando la muta: Biagio Scibilia e Francesco Aiello
(che, peraltro, è stato il primo a percorrerla in senso inverso).
Maggiori informazioni possono reperirsi al seguente link:
http://www.baiadigrotta.it/albo_t.html
Maggiori informazioni possono reperirsi al seguente link:
http://www.baiadigrotta.it/albo_t.html
Fatto primo: come accadde di ritrovarsi
per mare
20
giugno 2019 - Sera, nervosismo, zaino da preparare. L’indomani si parte per
Vigo, tra due giorni ci sarà da affrontare la Batalla de Rande. Questa è una
gara di nuoto, tra le più dure di Spagna, che si svolge nell’Oceano Atlantico
per una lunghezza di 27 km che separano Isla Cies da Isla San Simon (passando
sotto il Ponte del Rande). Ho passato tutto l’inverno a prepararla.
Il
telefonino vibra, è arrivato un messaggio. Leggo: - Ciao Sabri, ti ricordi che
l’anno scorso ti preannunciai che volevo fare una traversata in solitaria?
Eccola: il prossimo 21 luglio tenterò la Vulcano Capo Calavà. Vuoi venire?
Chi
mi scrive tutto trullero e felice è il mio amico Tindaro Ullo di Milazzo
(squadra master Nuoto Milazzo).
Miiih
– penso stizzita – stasera ci mancava solo il Capo Mavalà! Mavalà proprio,
mavalà.
Rispondo
con qualche frase di circostanza, forse neppure troppo garbata, e riprendo a
ficcare roba nello zaino. Ma il tarlo della traversata è mi è ormai entrato in
testa.
Fatto secondo: Ça va sans dire…
Ça va sans dire che, nel volgere di 12 ore, ho accettato l’invito di
Tindaro e sono partita ...per la Spagna. Al ritorno la macchina
organizzativa - capitanata da Tindaro – si è messa in moto: abbiamo cercato degli
sponsor per coprire i costi della traversata, reperito le barche, i piloti, i
cronometristi, prenotato l’hotel su Milazzo, chiesto e ottenuto il permesso dalla
Capitaneria. Io ho anche reclutato mio cugino Davide come assistente e ripreso
gli allenamenti (nonostante le spalle pesanti per la Batalla appena conclusa).
Fatto terzo: come fu che ci ritrovammo a
Milazzo
20
luglio 2019 – Di fronte a Milazzo, galleggianti sulla linea dell’orizzonte, le
Isole Eolie sembrano vaporare nel sole. Appaiono vicine e sono lontane.
Sembrano lontane, ma sono più vicine di quel che appaiono. Una più delle altre:
la mitica Vulcania, isola di fumigante bellezza, dove - secondo Virgilio –
Efesto ebbe la sua fucina e nel cui cratere – si narra – precipitò Teodorico,
il re degli Ostrogoti, insieme al suo cavallo bianco. Del resto, come scrisse
Consolo “qui s’intrecciano ancora e si confondono mito e storia, natura e
civilizzazione, poesia e realtà, simboli e metafore”[2].
Premesse
letterarie a parte, alle 17 p.m. del 20 luglio, lasciano il porto di Milazzo due imbarcazioni
Open. La prima, della “Milazzo Coust to Coust” di Peppe Nania e Alessandro
Macaluso, vede alla guida Fabio Graziano ed a bordo un assistente di salvamento
e medico della CRI, Francesca Sottile, nonché la cronometrista Irene Ridolfo.
La seconda, dei cantieri navali Colombo della “Compagnia delle Eolie” vede alla guida Maurizio Privitera ed a
bordo il medico Attilio Andriolo, cronometrista Laura Perillo nonché Domenico
Marcellini e Davide Fidanza. Last but not
least, distribuiti sulle due imbarcazioni sono presenti anche i due
soggetti affetti da indomabile ottimismo: Tindaro & Sabrina, il cui motto è: "per tornare in Sicilia nisba ferribò, nisba barche”.
Fatto quarto: la partenza.
21
luglio 2019, ore 5 a.m.: sveglia, colazione e ultimo controllo alle previsioni
meteo (che complessivamente paiono favorevoli: mare calmo, poca onda e un po’
di corrente contraria, ma solo nei primi 4/5 km).
Mentre
un sole che, pareva senza peso e che pareva la fine e l’inizio di un qualcosa barbaro e
straniero, pigliava a salire dal mare con sfumature blu-argento-pompelmo-rosa. La “Dream-Crew” si radunava, effettuava gli
ultimi controlli alle imbarcazioni e poi via partiva alla volta di Vulcano Gelso,
proprio vicino al faro, per dare il via alla partenza.
Tindaro
& io siamo pronti; anzi abbiamo una certa qual prescia di andare maremare,
salesale, di metterci sopra quel mare per arrivare a toccare il punto più
prossimo della Sicilia: la Rocca di Capo Calavà, ossia l’imponente impianto
granitico-pegmatitico, a picco sul mare, alto 137 metri.
Fatto quinto: la traversata
Fiduciosi
che c’inzeffiri un vento sempre costante e benigno, alle ore 6.16 a.m., Irene
fischia la partenza di Tindaro. Con le punte dei piedi in equilibrio su un
masso, lo guardo allontanarsi spedito. Un minuto dopo Laura fischia anche la
mia partenza.
E così Tindaro & io ci mettiamo a nuotare in quel mare vivò, con le due imbarcazioni che cercano per noi la rotta più spedita tra le terre di Vulcania e quelle di Sicilia: terra, acqua, terracqua, acqua, acqua e ancora acqua, nella sterminata solitudine di quella grande Arcamalecca, millunanotte loquente che è il mare (e, soprattutto, il mare di Sicilia).
Fatto sesto: … e son dolori
Il
mare è di un blu tirato a lucido e sfavilla come una pietra preziosa, ci
sarebbe solo da nuotare infilandosi e sfilandosi come Colapisci tra le sue pieghe.
Ma la corrente ha prima ha preso un verso ostinato e contrario alla nostra direzione, poi inizia a spingere trasversale e per di più si alza il mare. Perché c’è sempre un mare che si pare innanzi a chi va ramingo in cerca d’avventura. Inoltre, poiché in natura non ci sono premi o punizioni, ci sono conseguenze, la prima conseguenza è che fatichiamo di più e avanziamo di meno. La seconda (ma solo per me) è che dalla spalla sinistra ad ogni bracciata si irradia un dolore rabbioso.
Ma la corrente ha prima ha preso un verso ostinato e contrario alla nostra direzione, poi inizia a spingere trasversale e per di più si alza il mare. Perché c’è sempre un mare che si pare innanzi a chi va ramingo in cerca d’avventura. Inoltre, poiché in natura non ci sono premi o punizioni, ci sono conseguenze, la prima conseguenza è che fatichiamo di più e avanziamo di meno. La seconda (ma solo per me) è che dalla spalla sinistra ad ogni bracciata si irradia un dolore rabbioso.
Mi
arrendo e alla crew chiedo un antidolorifico. Il dolore cala ma il mare si alza ancora e, conseguenza terza, rallento e rallento. Al rifornimento successivo, i volti
sulla barca sono tetri e preoccupati. Laura, che cronometro in pugno non mi
perde mai di vista, mi avvisa che ho abbassato il ritmo, e mi consiglia di fare
più attenzione alla bracciata, che non spingo più fino in fondo. Ascolto il
suggerimento e cerco di concentrarmi sulla tecnica. Laura conferma c’è qualche
miglioramento, ma il dolore insiste e il ritmo permane lento (55/56 bracciate
al minuto, contro le 65/67 di Tindaro).
Fatto settimo: arrivarono!
Così
mentre mi sembra di nuotare come se strappassi coi denti il mare, Tindaro è
ormai un puntino lontano che punta spedito e sicuro verso Capo Calavà.
Anzi
no! Devia e punta a destra, alla spiaggia, mentre via radio tra le barche inizia
una discussione su quale sia la rotta migliore da prendere per l’ambito approdo.
Le
opinioni divergono: la barca di Tindaro punta con decisione alla spiaggia, la
mia con altrettanta decisione punta dritta a Capo Calavà.
Nel frattempo, Tindaro,
viene raggiunto dalle barche di familiari e amici, che gridano e lo incitano e gli
fanno segno di qua, di qua, amunì! Forza! “Non ci sto capendo più niente!” - Risponde Tindaro e testa bassa riprede a
nuotare per arrivare alla spiaggia dopo 7 ore e 27 minuti dal fischio di partenza,
con un gran finale di terribilio di bracciate a delfino.
Capo
Calavà lo vedo è lì, smetto di pensare alla spalla e ricorro al vecchio trucco
della conta: uno – due – tre – quattro ..zz. che male. Non ci pensare, ripeti: uno,
due, tre, quatr…zz., ma ‘sta corrente? Una tregua? Uuuhhhh, alzo la testa, Capo
Calavà è lì, lì, vicinissimo, ma mi pare di non arrivare mai. Salto il rifornimento
e cerco di spingere, di nuovo dolore, non importa, ci sono... ancora qualche metro
– mannaggia ma quanto sono lunghi i metri a Capo Calavà? Un-du-tri-tocco, mi
alzo in piedi alzo le mani, Laura fischia la fine: 7h58min10sec.
Fatto ottavo: gran finale sciampagnino e
mentiroso
Terra!
Finalmente! E felicità assai, assaissima.
E persoprammercato,
con i piedi ancora in acqua, due bottiglie di champagne da stappare, davanti a tutta
la crew, la cuginanza, il parentado, gli amici, Tindaro che giura solennemente:
mai più! Questa e l’ultima….“E subito riprende
a traversare come dopo il naufragio un superstite lupo di mare” (cit.
Pseudo-Ungaretti).
Fatto nono: ringraziamenti (doverosi)
Anzitutto
io di persona personalmente ringrazio Tindaro che, con grande generosità mi ha
invitato a condividere con lui questa traversata e poi si è fatto in quattro
per organizzarla al meglio.
Si
ringraziano altresì le rispettive squadre (Nuoto Milazzo e Gonzaga Sport Club)
con i rispettivi coach (Pippo Nicosia e Paolo Felotti).
Fondamentali
per la riuscita sono stati ovviamente tutti gli appassionati componenti della
crew, che si ringraziano uno per uno: i piloti Fabio Graziano e Maurizio
Privitera; il medico Attilio Andaloro, il medico e assistente di salvamento,
Francesca Sottile, le cronometriste Irene Ridolfo e Laura Perillo, nonché Domenico
Marcellini e Davide Fidanza.
Fatto ultimo: gli sponsor
La
traversata Vulcano – Capo Calavà è stata patrocinata dalla Nuoto Milazzo ed organizzata
da Tindaro Ullo. Inoltre è stata interamente sponsorizzata da: Gonzaga Nuoto
(Milano); SCS Concept srl; Nuoto Milazzo; Pizzeria cucina mediterranea
Doppiozero; Hotel Il Principe Milazzo; Il Lido Baia Del Tono Milazzo e il
Rotary club Milazzo, che si ringraziano vivamente.
[1] Settembre 2016, insieme ad
Enrico Giacomin, riuscita grazie all’infaticabile organizzazione di Cristina
Faranda e all’aiuto del Nuoto Milazzo.
[2] V. Consolo, Le pietre di
Pantalica, Mondadori, p. 147.