Nel zògo del pìndolo vale tutto!
- “Ara che ‘riva!”
- “Ara che lo ciápo!”
Così è el zògo del pìndolo.
Un giocatore batte el pìndolo per lanciarlo il più lontano
possibile. Serve forza e precisione. Maggiore è la forza più il pìndolo va
veloce. Più è veloce più è pericoloso.
L’avversario deve brincàrlo al volo. Serve òcio, destrezza e
coraggio. Si xe bòn de brincarlo, el battitore xe còto ed è fuori dal giuoco e
se no, il battitore batte di nuovo il pìndolo.
A me difettano tutte le capacità
che deve avere un giocatore di pìndolo (abilità, velocità, òcio e coraggio) e
allora faccio l’arbitro. Ma nessuno dà mai ascolto alle mie decisioni.
Carletto invece è campione
indiscusso di pìndolo ma, soprattutto, è padrone del gioco. È lui che decide
quando che se zòga. Perché lui, e solo lui, ha il pìndolo perfetto: un
gioiellino di legno ben piallato con due punte, di pari lunghezza e dimensione,
e una mazza solida, liscia, potente.
- “Per forsa, so pare gà un
capanón de falegnameria e Carletto gà el meglio pìndolo delle Tre Venessie e,
forse, ànca del mondo intero”, mi spiega Gigiluna.
Io invece rubo i manici delle
scope di nonna Maria, e con nonno Giovanni - che sta su una sedia in mezzo
all’orto con un cappellaccio, per ripararsi dal sole e dal vento - proviamo a
costruire un pìndolo. Il nonno si impegna, ma ha le mani che tremano per via di
una certa malattia che gli è venuta in fabbrica nei reparti punitivi, dove
mettevano a lavorare i rossi.
Solitamente veniamo scoperti.
- “Scampa!”, sussurra allora il
nonno e io scampègo inseguita da nonna Maria scarmigliata e vermiglia che agita
il rastrello come una furia. Il nonno invece non si può alzare dalla sedia e mi
guarda con i suoi occhi buoni e sorride.
Oggi Carletto ha deciso che si gioca. Guardo il pìndolo con
cupidigia
- “Posso tocàrlo?”, chiedo gentilmente.
- “No el pìndolo xe mio e decido mi, chi lo tòca”.
E così mi rosego le unghie per il nervoso e l’amarezza.
Il primo a battere - more solito
- è Carletto: il pìndolo s-ciòpa via come ‘na fusilà e nessuno s’azzarda a ciapàrlo.
Al secondo colpo però Gigiluna riesce a intercettarlo nella parabola
discendente prima che tocchi il suolo. Con un colpo di piede degno di Pelè,
Gigiluna lo calcia alla Susi [cuatro òci, dò stanghete, magna rospi e cavaléte]
che lo guànta al volo.
- “Ti xì còto!”, grido a Carletto nella mia qualità di
arbitro.
- “Non vale, di piede
non vale!”
- “Vale tutto! Nel zògo del pìndolo vale tutto”, sentenzio e
sfilo la mazza dalle mani di Carletto per farne solenne consegna alla Susi.
La Susi si dirige verso la base del battitore [un cerchio
disegnato sulla strada con i gessetti rubati a scuola], poi ci pensa si toglie
gli occhiali e me li porge:
- “Sono nuovi non vorrei romperli”, mi dice, “e ‘stà ‘tenta,
ànca ti”.
Solo che la Susi senza occhiali entra in un mondo brumoso e
privo di punti di orientamento.
- “Forza Susi!”, grida Gigiluna entusiasta e così innamorato
da non accorgersi dello sgambetto che gli sta facendo Carletto.
La Susi batte, Gigiluna casca, il
pìndolo vola sopra l’alta cancellata del giardino della Sbàiona e decapita i
tulipani.
Si fa silenzio e guardiamo Carletto.
- “Dèsso ti te salti drènto”.
Sgomenti guardiamo il cancello della Sbajona con le punte acuminate
come baionette degli Alpini.
La Susi si rimette gli occhiali, sospira languida e fa gli
occhi dolci a Gigiluna, che ha capito l’antifona e già gli è passato
l’innamoramento.
Tocca saltare e in prèssa prima che la Sbajona se ne
accorga.
Mi avvicino al cancello, mi
piego, la Susi mi ridà gli occhiali, mi salta in groppa e si arrampica in cima
poi salta giù dall’altro lato, gli ripasso gli occhiali. Trovato il pìndolo tra
i tulipani acciaccati, la Susi corre verso il cancello perché la Sbajona
allarmata dall’insolito silenzio è alla finestra che sbaja rabiòsa:
- “Tóseta! Cossa xeto qua a fare? A robàrme i fiori?”
Poi avviene tutto in fretta.
La Susi cerca di liberarsi del pìndolo
e lo lancia verso Carletto che prende la mira e con un colpo deciso della mazza
lo fionda dritto verso la finestra della casa di nonna Maria. La finestra va in
frantumi, la nonna lancia alti lai, alla Susi scivola un piede e una punta
aguzza del cancello gli sbrèga un pezzo di carne all’altezza del ginocchio. La
Susi precipita e perde gli occhiali, Gigiluna tenta di scansarsi ma scivola a
sua volta, o forse è un altro sgambetto di Carletto, non lo so ho la vista
annebbiata dal dolore perché nel tentativo di parare la caduta della Susi mi
sono slogata il polso, poi sotto il suo peso e con tutto il mio peso, crollo
proprio sopra i suoi occhiali.
A Gigiluna sanguina la fronte, alla Susi il ginocchio
scarnificato, io tengo la mano cionca. Ed è pure la destra, io che sono
mancina.
Che partita! Finiamo tutti al
Pronto Soccorso. Eccetto Carletto, che va rifugiarsi nel capanòn, e gli
occhiali in frantumi della Susi che restano dimenticati sull’asfalto.
- “E il pìndolo dove xéo?”, mi chiede Carletto minaccioso.
Il pìndolo è scomparso.
Interroghiamo nonna Maria, che ci
manda tutti in mona e minaccia Carletto che spedirà al capanòn de so pare el conto de la
finestra róta. Carletto alza le spalle e inizia a perlustrare palmo a palmo, il
giardino e l’orto della nonna: il pìndolo non si trova. Per maggiore sicurezza, Carletto chiede anche a nonno Giovanni, sempre piazzato sulla sedia in mezzo all’orto,
dove lo mette nonna alla mattina per ritirarlo alla sera. Ma lui non risponde,
ha uno sguardo vacuo e un sorriso indefinibile.
- “Un pìndolo così non ci sarà mai più”, dice mesto e se ne
va sconsolato.
Io resto accanto al nonno incerta se rubare un altro manico
di scopa e chiedo:
- “Che dici nonno? Ci proviamo di nuovo?”.
Il nonno mi fa l’occhiolino e con
la mano tremolante pesca dalla tasca della giacca il pìndolo scomparso.
-
“Presto, va nel garàs a prendere il pennello e la vernice rossa che al pìndolo
facciamo le punte rosse. Rosse come il sol dell’avvenir”.
Massa e pìndolo
di Mario Caprioli
Abilità, velocità,
colpo de òcio
e subito dopo, el s-cioco!
El pìndolo,
colpìo sul punto giusto,
pareva ‘na pàlotola traciante.
Le masse vibravan ne le man:
"Un cubo! Un cubo tolto in man!"
Par mi màre, sensa mànego,
gera difîssile scovàr.
https://www.youtube.com/watch?v=P3VS8qPdLkw
Per saperne di più sul gioco del pìndolo (detto anche della
lippa, della cirimela, dello s-cianco, ô ligneddu, mazz'e
pìzze etc).
https://www.conoscerevenezia.it/?p=92444
https://it.wikipedia.org/wiki/Lippa_(gioco)
Per saperne di più sui reparti punitivi delle fabbriche (su
cui ancora si è scritto poco):
https://www.internazionale.it/reportage/maila-iacovelli/2014/10/27/reparti-confino-in-italia-9
https://www.pandorarivista.it/articoli/eternit-casale-monferrato/