Translate

domenica 6 dicembre 2020

Fuori Linea #8 - Radio Babilonia

 Fuori Linea #8 Radio Babilonia


A vent’anni si è stupidi davvero quanto balle si ha in testa a quell’età…invero di anni ne avevamo a malapena sedici e i cantautori erano stati archiviati nella sezione vetusti, lagnosi censori da evitare accuratamente. La scalcinata cantina del c.s.o. Margnan accoglieva ogni sabato sera, in una gelida nebbia, spessa e alchemica (un fine distillato di vapori alcolici e altre sostanze psicotrope), gruppi alternativi e autoprodotti, provenienti dalle più remote lande italiche (isole comprese). Radio Babilonia, la radio "del movimento in movimento", rifulgeva algida all’apice della sua estensione e diffondeva marosi di new waves e fragori punk (punk not music!) sin oltre gli angusti confini di Bassano, lambendo Marostica, Rosà, Cassola, Mussolente e, nelle belle giornate, era una marea di suoni che assediava finanche le mura di Cittadella.

Da quando frequentava la Radio quale conduttrice del primo programma interamente punxxx del Tri-Veneto, Nadija aveva assunto Ratatuja come nome d’arte, prontamente scorciato in Rata e, visto che c’era, s’era fatta scorciare pure i lunghi capelli da hippie. Tale delicato intervento venne affidato alla più improbabile maneggiatrice di forbici del bassanese, ossia la sottoscritta.

- “Taja!”

- “Rata, difetto di lumi”.

- “Taja, gò dìto”.

Ok, ma fammi prima provare col cane.

Ne era uscito un taglio spennato, scaleno, con avvallamenti e buche irregolari (sia di Rata che del cane) ma sufficientemente punk da lasciar allibiti familiari, insegnanti e talponi ben pensanti.

Ma poi accadde l’impensabile. Mentre Rata ultimava la sua personale estetica punk drizzandosi i capelli con sapone rexona e stilando con scrupolo le scalette musicali da mandare in onda, arriva Ambrose:

- “Tóse ghe xe Guccini a Vicenza”

Rata non alza neanche un sopracciglio, io invece drizzo le orecchie e, col tono più indifferente di cui sono capace, sommessamente chiedo:

- “Quando?”.

Rata smette di scrivere e ci scruta con aria colma di disapprovazione.

- “Vénare, prossimo venturo. Forsa tóse ...’ndemo?”

Rata sdegnata riprende a stilare la scaletta in silenzio, io, invece, al colmo della mia audacia introduco la questione in famiglia:

- “Venerdì ci sarebbe Guccini a Vicenza...”

Silenzio in tavola

- “Potrei andarci con un amico…”

Ancora silenzio

- “…Potremmo venire a patti”, mormoro.

In effetti all’epoca la mia personale applicazione delle teorie di Lev sulla rivoluzione permanente mi avevano portato a perfezionare l’arte della fuga permanente: vado a studiare da Cris, vado in radio, ho la piscina, c’è l’assemblea studentesca, vado a correre, studio da Rata, Attilio ha organizzato un nuovo cineforum (Bergman, Truffaut, Fassbinder, tutta la Nouvelle Vague), questa sera al Margnan c’è un concerto imperdibile torno tardi ...

- “Al più tardi te torni casa a le diése”, risponde mio padre.

- “Miiihhhh”, replico strabuzzando gli occhi al cielo, “ma se alle dieci inizia”.

- “Diése e diése”.

- “dieci e mezza”, tratto, poi strappo le 23 per tornare a casa dopo mezzanotte e aprire così le danze delle successive restrizioni punitive:

- “Benòn, ora te resti casa pàr una setimàna”, era la fine nota, e ingloriosa, di ogni mia vana fuga in avanti.

- “Ma….”.

- “Se te parli, anca dó”.

Per il caso (spinoso) del “concerto di Guccini a Vicenza”, il Comitato Centrale (alias mia madre) così decretò inappellabile: …e concerto sia. Serata libera e senza limiti di orario, ma poi devi scontare tre settimane senza uscite, di nessun genere.

- “Tre?”

- “Se te parli anca quàtro, ciò”, s'intromette pronto nella trattativa mio padre.

- “Tre setimàne dentro casa per ‘ndar a vedare uno che porta anca sfiga”, chiosa disgustata Rata, mentre con millimetrica precisione appoggia la puntina sul disco dei Disper-Azione, nuovo gruppuscolo punx hardcore canturino, il cui messaggio, lapidario e breve, più di un haiku giapponese, (“Moda! Moda! Moda merda!”), veniva schitarrato fuori a tutto volume sulle onde di Radio Babilonia.


La sera del concerto Ambrose passa a prendermi sin sotto casa, così come pattuito con il Comitato Centrale. Mio padre sottopone la sua panda rosso fuoco ad un preliminare attento esame, girandogli attorno come un coccodrillo per almeno tre volte, poi soddisfatto delle condizioni del potente mezzo di locomozione, esamina anche Ambrose (che si è dato una ripulita per l'occasione) ed infine arriva il benestare:

- “Va bén”.

E allora via… lunga e diritta correval’auto veloce correva

- “Eh no, ciò”, strillo ricordando l’avvertimento di Rata, “porta sfiga e òcio le curve”.

Al concerto in una sala colma di persone e avvolta in una nuvola di fumo, senza perderci d’animo spintonando, gattonando, sgomitando, arriviamo sin quasi sotto il palco. Sopra il palco ci sono una sedia, la chitarra, un fiasco di vino, il cantautore e parole che dicono di una piccola città bastardo posto, situata tra la via Emilia e il west, dove vecchi muri sembran proporre nuovi eroi e dove … con l’incoscienza dentro il basso ventre … abbiamo tutti … la rivolta tra le dita. Così, quando Guccini fa finalmente brillare la bomba proletaria con la fiaccola dell’anarchia, tutti, ma proprio tutti accendono gli accendini facendoli ondeggiare. Noi, però, abbiamo solo una scatola di fiammiferi. Cerco di accenderne uno con scarso risultato e mi brucio le dita, per il dispetto lancio la scatola verso il palco, con l’intento di colpire il poeta cantante. Ambrose al grido:  - “No!, spèta!, fermàte!, cossa feto baùca?!”, si tuffa nella folla cercando di afferrarla. Per un lungo attimo lo vedo ondeggiare sopra teste ed accendini e poi inabissarsi nel buio. Quando riemerge ha i capelli bruciacchiati e la scatola che celava tra i fiammiferi, anche un prezioso tòco de nero pakistano (fuma bén, fuma sàno, fuma nero pakistano!), è perduta per sempre.

Il ritorno a casa è mesto e silenzioso e le tre settimane successive sono un mortorio: niente radio, niente piscina, niente assemblee né cineforum e, men che meno, niente concerti al c.s.o. Margnan. Abbandono Lev e accendo anch’io la fiaccola dell’anarchia, passando allo studio di Bakunin (ah il buon vecchio diavolo del Pontelungo).

Per fortuna tutti i giorni Rata mi chiama per aggiornarmi: 

- “Ambrose xe gà calmà e gà dìto che no te cópa più”.

- “Ancò gàvemo fatto la nuova fanzine, no te ghe xeri, pecà!”.

- “Ascolta a la Radio ‘sta nuova band punk inglese-berlinese, xe ciama Soldiers of Fortune, bravi ciò”

- “Le cavre de Nic ga magnà el tòco de nero de Ambrose, che gà dato fòra de màto e dise che ve cópa a tutti e dó, a ti e a Nic”.

- “Sàbo vien a sonàre i Disper-Azione, pecà che te resti casa”.

Torno mesta a studiare Stato & Anarchia e convengo che, come sempre, Rata ha ragione: “non c'è niente da fare, porta sfiga. D’ora in poi basta cantautori solo concerti punk e tagli di capelli alla mohicana”

 




Qui info su i Disper-Azione:

http://www.punk4free.org/component/content/article/4-recensioni/2977-disper-azione-2012-soltanto-la-morte-potra-fermarci.html

...e qui su i  Soldiers of Fortune

http://terminalsoundnuisance.blogspot.com/2017/07/the-tumult-of-decad-part-2-soldiers-of.html