Era una
fredda sera di gennaio e fu l’ultima volta che si incontrarono per un caffè
veloce al bar della stazione.
Lui era appena arrivato e già
ripartiva. Lei invece restava, ma disse che sarebbe partita, a breve. Lo disse
per darsi importanza e per il dispetto che sentiva per tutte quelle sue
partenze.
E poi fu la solita effervescenza
felice. Una girandola di parole, racconti iniziati e non finiti e già incalzati
da altre parole più urgenti da dire ma che non venivano dette e il treno in
partenza e allora un abbraccio di fretta e il solito saluto:
-
Malamocco! La prossima volta andremo a Malamocco,
vedrai.
Lei rispondeva sognate e
allegra:
-
Sì, sì a Malamocco.
Perché
sicuramente Malamocco, dove non erano mai stati e dove insieme non sarebbero
andati mai, nascondeva in qualche sua calle misteriosa la chiave della
felicità. O quantomeno della loro felicità.
Perché a Malamocco, avrebbero zigzagato per le strade come anguille. Sempre a Malamocco, per un bagno catartico si sarebbero immersi in una nebbia spessa dalla quale si può riemergere solo dentro una qualche osteria, dove tra giri e giri di ombre, rosse e bianche, avrebbero smarrito sé stessi fino a chiedersi stupiti:
- Ma chi
xé che ti xì ti? E chi xè che son mi? Ma xèmo brava zente?
E,
ancora, a Malamocco, avrebbero ciàcolato con poeti flâneurs e avventurieri
perditempo, insieme ai quali avrebbero fumato sigari cubani e dissipato denari
al giuoco delle carte.
A
Malamocco, poi, avrebbero ascoltato il canto dell’angelo della finestra
d’oriente e sempre lì, si lì a Malamocco!, Bocca Dorata gli avrebbe indovinato
la fortuna nei fondi di un caffè amaro come la vita.
Per
tutto questo, e altro ancora di cui qui non si può dire, Malamocco per loro
sarebbe rimasta una promessa non mantenuta, ma sempre rinnovata.