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sabato 13 gennaio 2018

The Swimlosophy (The Swimmers Philosophers)

The Swimlosophy (The Swimmers Philosophers)
Dormiva...?
Poi si tolse e si stirò.
Guardò con occhi lenti l'acqua. Un guizzo
il suo corpo.
Così lasciò la terra.
(S. Penna, Il nuotatore)

«L'uomo è un essere terrestre, un essere che calca. Egli sta, cammina e si muove sulla solida terra»[1]Purtroppo.
Il “purtroppo” sta per il rammarico e l’amarezza che ogni nuotatore prova per la sua - prima o poi ineluttabile - collocazione sulla solida terra. Sta per il riconoscimento della sua finitudine, quale essere terrestre[2] contrapposto all'ápeiron che ritrova nell’acqua, inteso come principio che annulla ogni ordine terrestre[3].

Il “purtroppo” sta anche per il rimpianto che il nuotatore patisce non appena esce dall’acqua. Perché il nuotatore non sta nell’acqua, egli sente l’acqua e la sente come il suo elemento primario[4].
Ma non lo è, anche se ciò viene ammesso dal nuotatore con qualche riserva (ed con un fondo di incredulità): «ho sempre creduto alla teoria dell'evoluzione acquatica dell'uomo», scrive Deakin nel suo Diario d’acqua[5].

Il nuotatore, dunque, sa che «l'esistenza umana e l'essere umano sono, nella loro essenza, puramente terrestri, e hanno solo la terra come riferimento»[6], ma ciononostante egli si ritiene un’eccezione[7].
Per lui, l’archè, il principio, è l’acqua. L’acqua così determina il suo punto di vista, le sue impressioni[8] ed il suo modo di collocarsi nel mondo, inteso non come globo terreste ma come globo terracqueo[9]. Ogni nuotatore vive così nella condizione di Melusine: sente bisogno di nuotare per riattingere periodicamente le energie necessarie alla sua esistenza terrena[10] («perché l’acqua è la mia preghiera che mi libera da ogni male»[11]).
E se come riteneva Talete l’acqua, è l’elemento atto a tenere connesse tutte le cose[12], per il nuotatore ciò ancora più vero, dato che per egli l’acqua è l’elemento che lo tiene connesso al mondo ed alle fatiche della vita quotidiana. Con l’acqua (elemento primario della vita), dunque, il nuotatore sente una particolare affinità fino a condividerne in qualche misura il mistero[13]: «l’acqua è H2O, due parti di idrogeno, una di ossigeno, ma c’è anche un terzo elemento che la rende acqua e nessuno sa cosa sia»[14].
La domanda se sia possibile un'esistenza umana diversa, non determinata in modo puramente terrestre, nel nuotatore trova una (scontata) risposta affermativa e se nelle «reminiscenze remote, spesso inconsce degli uomini, l'acqua ed il mare rappresentano il misterioso fondamento originario di ogni vita»[15], nel nuotatore esse rappresentano non solo il fondamento originario, ma anche l’essenza quotidiana della sua esistenza. Perché ad egli gli si aperto dinanzi un mondo diverso da quello della terraferma. Alla domanda cruciale qual è “dunque il nostro elemento?”, il nuotatore risponde, senza esitazione: l’acqua (perché in cuor suo considera la terra come un mero luogo d’esilio). E come per Talete, l’acqua gli si «presenta come una metafora che non riesce a sopportare il peso di ciò che con essa intende esprimere»[16].


Per i nuotatori di acque libere[17] (o marathon swimmers[18]), poi, la prospettiva si amplia ulteriormente. Lo spazio sempre sfuggente del mare, per essi si apre verso un altrove che lusinga con promesse di rigenerazione[19] e di vita nova.
Una continua affermazione di volontà che sceglie il mare come oggetto di sfida che riempie la vita[20]. Per loro il corpo, chiamato direttamente a sfidare il mare senza intermediazioni date da altri mezzi che non siano la forza delle braccia e la spinta delle gambe, diventa l’oggettivazione della loro volontà, la volontà dunque «come parafrasi del corpo, che ne spiega il senso dell'insieme e delle sue parti»[21].
Del resto, se la prima e più semplice affermazione della volontà, è «l'affermazione del proprio corpo», e se questo «con la sua forma e con la sua organizzazione teleologica, rappresenta lo spazio della volontà»[22], per il nuotatore lo spazio in cui questa volontà si esprime alla massima potenza è l'acqua. Nel gurgite vasto[23], il nuotatore sa che la sola cosa che dipende da lui è unicamente la sua volontà[24], mentre, per tutto il resto, egli è in balia delle onde, delle correnti, dei venti e, last but not least, della vita marina che lo popola. Alla volontà si affianca poi la (forte) motivazione, intesa come legame che connette tra loro i molteplici atti di cui è composta la traversata in acque libere. Non si tratta difatti della semplice unione di movimenti nell'acqua (presa, trazione, bracciata, respirazione, gambata, presa, trazione, bracciata, lungo più lungo), trattandosi piuttosto di un ampio campo di vissuti che si susseguono, che provengono l'uno dall'altro, che si compiono sulla base e per il volere dell'altro che li ha preceduti e che tendono tutti verso qualcosa di oggettivo[25]: la meta d'arrivo, ma anche la sfida disputata tra una geografia della mente ed una geografia una reale[26] e che quando viene raggiunta, compie una metamorfosi che trasforma il nuotatore in una persona diversa da quella che é entrata in acqua [27].


Nel mare - regione ingovernabile e dominio dell’insocievole[28] - il nuotatore vive nel pozzo dell’eternità, in una sorta di sospensione dalla vita. Ma dalle sue profondità affiorano, cariche di energia che riempiono (illusoriamente) il vuoto che il nuotatore si è lasciato intorno e proprio allora, isolamento e vuoto si dilatano e l’inghiottono: non c’è più passato, non c’è futuro ed il presente è tutto in aspettative di approdi (quasi) impossibili[29]. Del resto il mare non è mai stato amico dell’uomo, ma, semmai, complice della sua irrequietezza, un pericoloso fiancheggiatore delle sue ambizioni: ma tutti i sogni di gloria, di dominio e di avventure, e lo sprezzo per il pericolo, sono svaniti come immagini riflesse nello specchio, senza lasciare alcuna traccia sul volto misterioso del mare[30] (come scrive Rimbaud, l'eternità, con tutti gli umani sogni di gloria, é andata insieme al mare[31]).
 Questo un nuotatore di acque libere lo sa, ma sa anche che «il bello del nuoto, in sé e per sé, è che tutto si concentra nel “qui e ora”: non una briciola della sua intensità ed essenza può fuggire nel passato o nel futuro»[32].

Il comune sentire sul nuoto di lunghe distanze, ritiene che «ore e ore di monotoni e ripetitivi movimenti, senza alcuna relazione visiva o tattile con ciò che accade all'esterno, sia un esercizio infinitamente noioso»»[33]. Ma, chi l’ha provato sa che «coprire una distanza a nuoto è come scalare una montagna. Guardi verso l'altra riva e ti senti perso. La meta appare minuscola in lontananza»[34]. Eppure si addentra, dentro più dentro, là dove il mare è mare[35]: e una volta in mare, il nuotatore comincia a rilassarsi e a perdersi nel ritmo, si lascia permeare dalla fluidità dell'acqua, apre i polmoni e respira più profondamente, diventa acquatico[36]. Perché l'acqua «avvolge il nuotatore lo sorregge e, allo stesso tempo (...) allontana il resto del mondo e ne occupa il posto. Il nuotatore di lunghe distanze non comunica con null'altro se non con l'acqua e con il proprio corpo»[37]. E così accade che «nulla come nuotare sino al limite dello sfinimento dà il senso di essere vivi senza essere tenuti agli adempimenti della vita. Nulla come l'assoluta disciplina si avvicina all'assoluta libertà»[38]. Il nuoto, quindi, come costante - ed anche sofferto - esercizio di libertà che si concretizza nella costituzione di sé in quanto soggetto padrone di se stesso[39]. Ma anche come atto incondizionato di autoaffermazione – attraverso un’assoluta disciplina - della propria libertà.
Il nuotatore di lunghe distanze, non si limita dunque a fare del nuoto tout court, perché il suo è un nuoto di assoluto, in cui vive l’istante qui e ora ed al termine del quale esce con un’idea migliore della vita e di sé stesso, «come se il mare, prodigo di cure, gli avesse dato l’assoluzione»[40]
Una volta toccata l'acqua il nuotatore rimane solo con se stesso immune dall'influenza esterna: é la solitudine del nuotatore, per parafrasare Sillitoe[41] ed il nuoto, «come l'oppio, può causare un senso di distacco dalla vita quotidiana[42]; i ricordi, in particolar modo quelli dell'infanzia, riemergono con sorprendente vigore, ricchi di particolari vividi e precisi»[43]. Difatti, per il nuotatore, l'acqua, esfoliante del corpo, non cura solo le arterie e la pressione, ma ha un potere purificatore che agisce sul pensiero, disintegra la storia, condona le nostre frontiere mentali, arpiona le angosce, dissolve le paure, polverizza i pregiudizi e, soprattutto, libera l’immaginazione: «dopo aver sciolto il corpo, sbrogliato lo spirito eliminato l’Io, la vita del nuotatore è scorrevole, frizzante. Come champagne ghiacciato»[44]. Il nuotare diventa così una «tecnica di comprensione di meccanismi che fuori dall'acqua, quando si dispiegano su una superficie solida, risultano incomprensibili»[45]. Del resto, «più intenso è il vivere, più chiara ed intensa è la coscienza di esso»[46], coscienza che nell'acqua si dispiega in un continuum particolare di mente, corpo, ambiente. E come già sapevano i Romani, ed anche gli Umanisti, chi non sa nuotare è un ignorante completo: nec litterars didicit nec natare[47] o in altre versioni, neque natare neuqe literas[48]. Anche se, forse, qualche controindicazione questa disciplina c'è l'ha: «non puoi resisterci se non riesci a convivere con te stesso», e poi (ma questo un nuotatore difficilmente l'ammetterà), c'è il rischio di «un’ipersollecitazione dell’ego», per il «resto, invece,  non ci sono limiti d’età o condizione fisica»[49].

Ma nuotare non è così semplice, richiede un controllo razionale dello spazio in cui si trova immerso e del corpo, chiamato a fronteggiare, in un elemento che non é il suo elemento naturale (con buona pace dei desideri più profondi del nuotatore), uno sforzo particolarmente intenso, continuo e prolungato. Stomaco, petto, parte superiore e inferiore della schiena, spalle, bicipiti e tricipiti, le gambe, i piedi: tutti insieme lavorano in maniera ininterrotta, coordinata e continuativa per mantenere il nuotatore a galla, non farlo affogare e, last but not least, fargli raggiungere la sua meta[50]. Richiede altresì la costruzione di un muro mentale, che impedisce alla stanchezza, al freddo[51], alla fatica di entrare e dilagare in tutto il corpo. Perché la mente, se seriamente motivata, è uno strumento potente e difficile da sconfiggere, anche in condizioni avverse[52]. Se la “testa” – invece che fare da traino - non va più al passo delle gambe e delle braccia, è il segnale che la passione è scemata e la volontà è venuta meno[53]: come Odisseo il nuotatore deve evitare di cadere preda delle «pericolose lusinghe che tendono a sviare il Sé dall'orbita della sua logica»[54], logica, questa volta, puramente acquatica.


In conclusione, il nuotare - soprattutto in acque libere - evoca il sublime, dimostrandoci, ancora una volta, tutta la nostra vulnerabilità e finitudine[55]. É un sublime che, prende al laccio come un’ingannevole canto di Sirena e diventa un pensiero al di là del razionale, una sfida, una competizione con se stessi e con la natura. Per il nuotatore in mare é un «prendere le misure al mare, capire fin dove si può arrivare ad armi pari, diciamo così. E se proprio non é un'ossessione, certo é un pensiero totalizzante»[56].



«La mia scoperta sul nuoto (…) non è già uno studioso risultato d’idee architettate nella tranquillità pacifica del tavolino[57]; ma una voce della Natura, che io distintamente sentii standomi immerso nelle acque marine. Essa ebbe nel mare il suo natale»,
 (L’uomo galleggiante, ossia l’arte ragionata del nuoto,
di Oronzio De Bernardi,
Avvocato, Esaminator Sinodale e Canonico della
 Cattedrale Chiesa della Regia Città di Terlizzi,
Stamperia Reale di Napoli, 1794).










[1] C. Schmitt, Terra e Mare (traduzione di G. Gurisatti), Adelphi, 2002, p. 11.
[2] Cfr. D. Young, Why swimming is sublime, 
in http://www.theguardian.com/lifeandstyle/australia-culture-blog/2014/feb/07/why-swimming-is-sublime:
 «This is a recognition of what philosophers call "finitude": the basic fact of limitation. To exist at all is to be a definite this, 
and not something else. However free we are, we cannot escape basic biology – these limbs, lungs and
 blood, this universe of force and gravity» [Si tratta del riconoscimento di ciò che i filosofi chiamano 
“finitudine”: il fatto basico della limitazione.Esistere significa essere definiti in un certo modo
 e non in un altro. Per quanto siamo liberi non possiamo sfuggire alla nostra biologia di 
base - queste membra, polmoni e sangue, questo universo di forza e gravità]. 
[3] G. Colli, I filosofi sovraumani, Adelphi, 2009, p. 34: «l’apeiron è in sé un principio che annulla ogni ordine, ogni individuo è l’infinito indeterminato …ogni atto dell’uomo non deve compiersi rispetto alla sua sfera limitata e individuale, ma con la coscienza ed il sentimenti di dover agire seguendo una realtà superiore e infinita».
[4] C. Sprawson, L’ombra del massaggiatore nero (traduzione di E. Muratori), Adelphi, 2000, p. 24: «la qualità principale necessaria ai nuotatori è quella di ‘sentire l’acqua’. Essi dovrebbero usare braccia e gambe come i pesci le pinne, e saper avvertire la pressione dell’acqua sulle mani per mantenerla nel palmo durante la bracciata». Nell’acqua il «nuotatore si sente in contatto con la realtà sottostante».
[5] Cfr. R. Deakin, Diario d'acqua (traduzione di E. Comito) Edt, 2011, p. 168: «ho sempre creduto alla teoria dell'evoluzione acquatica dell'uomo sostenuta dal biologo marino Sir Alistar Hardy, che l'avanzò per la prima volta in un articolo sul "New Scientist" nel 1960. Le sue idee sono state poi sviluppate da Elaine Morgan nel libro L'origine della donna (...). Hardy e Morgan erano convinti che nel periodo del Pleistocene in cui la terra era sommersa dalle acque, per dieci milioni di anni l'uomo, nuotando e guadando nelle secche da mammifero semiacquatico, fosse approdato sulle spiagge africane e avesse gradualmente conquistato la posizione eretta».
[6] C. Schmitt, Terra e Mare, cit., p. 12.  Si veda anche: D. Young, Why swimming is sublime, cit.: «Taken off the land and
 dumped into a few feet of water, Homo sapiens is a clumsy species» [Tolto dalla terra e scaricato in pochi metri d'acqua,
 l’homo sapiens si trasforma in una specie goffa].
[7]Scrive Deakin, «a parte la scimmia proboscidata del Borneo, l'uomo è l'unico primate che fa il bagno per divertimento. 
Siamo anche gli unici mammiferi glabri come i delfini e, soli tra i primati, abbiamo uno strato sottocutaneo analogo a quello 
della balena, ideale per mantenere il calore nell'acqua» (R. Deakin, Diario d'acqua, cit., p. 168).
[8] «Nuotando senti il corpo per quel che è, soprattutto acqua, e prendi a muoverti con essa» (R. Deakin, Diario d'acqua, cit., p. 3).
[9] Osserva C. Schmitt, Terra e Mare, cit. p. 11: l’uomo «chiama “terra” l'astro su cui vive, sebbene com'é noto, la sua superficie si componga per quasi tre quarti di acqua (...). Da quando sappiamo che la nostra terra ha la forma di una sfera, parliamo con la massima naturalezza di “globo terrestre” e di “sfera terrestre”, e troveresti strano doverti, figurare un “globo marino” o una “sfera marina”».
[10] B. Reale, Sirene Siciliane, Moretti & Vitali Editore, 2011, p. 46.
[11] F. Cavalli, Sughero, Corebook, p. 19.
[12] Simplicio, Commento alla fisica di Aristotele, 23, 21 in G. Colli, Sapienza greca, vol. 2, Adelphi 1994, p. 135. Osserva, C. Schmitt, Terra e Mare, cit., p. 13, «generalmente, la paternità della dottrina che vede nell'acqua l'origine di tutto l'essere è attribuita al filosofo della natura greca Talete di Mileto (vissuto intorno al 500 a.C.). Ma tale concezione è più antica e al tempo stesso più recente di Talete. É eterna».
[13] B. Reale, Sirene Siciliane, cit., p. 56.
[14] D.H. Lawrence nella citazione di Deakin in Diario d’acqua, di seguito la poesia in lingua originale:  «Water is H2O, hydrogen two parts, oxygen one, but there is also a third thing, that makes it water and nobody knows what it is. The atom locks up two energies but it is a third thing present which makes it an atom» (D.H. Lawrence, The Third Thing, in The Works of D.H. Lawrence, 1994, 428).
[15] C. Schmitt, Terra e Mare, cit., pp. 12-13.
[16] E. Severino, La filosofia antica, BUR, 2002, p. 16.
[17] P. Munatones, Open Water Swimming, Human Kinetics, 2011, p. 103: «Open water swimming can be in saltwater or freshwater, calm or rough conditions, warm or cold temperature, and still or with currents, depending on the time of day, the season, and the location» [Il nuoto di fondo può essere in acqua salata o in acqua dolce, in condizioni di mare calmo o mosso, con temperatura calda o fredda, ed ancora con correnti che variano, a seconda dell'ora del giorno, della stagione, e della posizione].
[18] Scrive C. Sprawson, Swimming with sharks, New Yorker, 23.08.1999: «Marathon swimmers are different breed from short distance swimmers. Compared with long, lithe and adolescent figures you see in Olympics, marathon swimmers appear to be built like bisons rather then like cheetahs (...). These swimmers need tenacity and a stocky built to withstand the impact of waves and tides, the sudden nausea inflicted by oil slicks and bilge, the prolonged effects of salts waters, which causes the lips and tongue to swell (…). So intense and concentrate are conditions, that marathon swimmers became a prey to delusion and neuroses that are often beyond the experience of other athletes».  [I marathon swimmers sono una razza diversa dai nuotatori di breve distanza. Rispetto alle figure, lunghe, agili ed adolescenti che si vedono nelle Olimpiadi, i marathon swimmers sembrano essere costruiti come i bisonti piuttosto che come i ghepardi (...) Questi nuotatori hanno bisogno di tenacia e di una struttura tarchiata, costruita per reggere l'impatto delle onde e delle maree, la nausea improvvisa inflitta dalle chiazze di petrolio e di sentina, dagli effetti prolungati dell’acqua salata che fa gonfiare le labbra e la lingua (...). Così intense e concentrate sono condizioni che devono affrontare che i marathon swimmers, possono facilmente è diventato una preda di delusioni e nevrosi che sono spesso al di là dell'esperienza di altri atleti].
[19] B. Reale, Sirene Siciliane, cit., p. 45.
[20] Ad esempio la «piscina: non appena la scorgiamo», con il suo «azzurro immutabile come la legge ci elettrizza. Il suo colore suscita desiderio di andarsi a gettare a capofitto». Tuttavia, la «piscina declina una seduzione, ma senza fascino» (C. Guerard, Piccola filosofia del mare (traduzione di L. Brioschi), Guanda, 2006, p. 42 e p. 56).
[21] A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione (traduzione di N. Palanca) Mursia, 1996, p. 369.
[22] A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit. p. 374.
[23] Publio Virgilio Marone, Eneide, I, 118: «Rari nantes in gurgite vasto». Dal vocabolario Treccani on-line in http://www.treccani.it/vocabolario/rari-nantes-in-gurgite-vasto/: «rari nantes in gurgite vasto ‹... ġùrǧite ...› (lat. «rari nuotatori nel vasto gorgo»). – Emistichio dell’Eneide (I, 118), riferito ai naufraghi di una delle navi di Enea distrutte dalla tempesta scatenata da Giunone, usato talvolta, in senso fig. e scherz., per indicare poche cose o persone disperse in ambiente vastissimo o tra moltissime altre. Con alterazione del sign. originario (rari interpretato come «scelti»), la prima parte della locuz. è stata adottata come nome di società di nuoto (Rari Nantes Florentia, ecc.)».
[24] P. Munatones, Open Water Swimming, cit., p. 290: «Open water swimmers’ athletic background are not as important as theirs willingness to swim, without lanes, lines, and walls in a dynamic environment» [per i nuotatori di acque libere, le loro capacità atletiche non valgono quanto la loro volontà di nuotare senza corsie, linee e pareti in un ambiente dinamico].
[25] E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito (traduzione di A.M. Pezzella), Cittá Nuova Editrice, 1996, p. 51; inoltre a p. 77: «grazie alla motivazione che permette il passaggio di un atto all'altro atto, crescono nel flusso del vissuto le strutture dell'atto e quindi della motivazione».
[26] Cfr. R. Deakin, Diario d'acqua, cit., p. 56.
[27] Cfr. J. C. Oates, Occhi di tempesta (traduzione di A. Ragusa), Mondadori, 2005, p. 5: «come quando attraversi a nuoto un fiume reale, imprevedibile e infido, e se riesci a raggiungere l'altra sponda sei una persona diversa rispetto a quella che è entrata».
[28] C. Guerard, Piccola filosofia del mare, cit., p. 24. Come scrive Joseph Conrad, il mare non ha compassione, non ha fede, non ha legge, né memoria. La promessa che offre perpetuamente é grandissima; ma l'unico segreto per averne il possesso si chiama forza, forza - la forza insonne e gelosa dell'uomo che entro le proprie porte sta a guardia di un agognato tesoro (cfr. J. Conrad, Lo specchio le mare (traduzione di R. Prinzhofer e U. Mursia) Mursia, 2006, p. 224).
[29] B. Reale, Sirene Siciliane, cit., p. 54.
[30] J. Conrad, Lo specchio del mare, cit., pp. 205 - 206. Si vedano anche i versi di Italo Testa: «A chi appartiene l’acqua che il nuotatore / misura, in lente bracciate solcando / lo specchio informe di un cielo vuoto? /A chi appartiene, se nel flutto affonda/ la silhouette dorata nella luce?» (I. Testa, Gli aspri inganni, Edizioni Lieto Colle, 2004)
[31] A. Rimbaud, L'eternité: «Elle est retrouvée. / Quoi ? - L'Eternité. / C'est la mer allée / Avec le soleil».
[32] R. Deakin, Diario d'acqua, cit., p. 97. In proposito come non pensare all'epilogo di disincanto ed illusione del Nuotatore di John Cheevers: «aveva fatto quello che si era proposto, aveva attraversato a nuoto la contea, ma ora era così inebetito dallo sforzo che il suo trionfo gli appariva senza senso» (J. Cheevers, Il nuotatore, traduzione di M. Papi, Fandango Libri, 2000, p. 54).
[33] B. Biancheri, La traversata, Adelphi, 2012, pp. 71-72. Scrive Gianni Mura: «Il nuoto è noioso, ripetitivo e dà sempre l'idea di essere quello che è: uno sport. A calcio, a tennis, a basket, anche a pallanuoto si gioca. Il nuoto, si fa. Assente il gioco, assente la fantasia, resta il dubbio fascino del lavoro paziente, di settimane e mesi per abbassare il proprio limite» (G. Mura, Ma il nuoto non fa divertire, in La Repubblica, 19.09.2000).
[34] R. Deakin, Diario d'acqua, cit., p. 177.
[35] R. Deakin, Diario d'acqua, cit., p. 177.
[36] Sono le parole finali del capolavoro di Stefano D'Arrigo: «un mare di lagrime fatto e disfatto a ogni colpo di remo, dentro, più dentro dove il mare è mare» (S. D'Arrigo, Horcynus Orca, Rizzoli, 2003, p. 1094). D'Arrigo, a sua volta, pare abbia ripreso i versi di Alfonso Gatto: «Come la donna affonda e dice vieni / dentro più dentro dov'è largo il mare» (A. Gatto, All'alba ), si veda in proposito AA.VV., Il mare di sangue pestato (a cura di F. Gatta), Rubettino, 2002, p. 17.
[37] B. Biancheri, La traversata, Adelphi, 2012, p. 72.
[38] B. Biancheri, La traversata, Adelphi, 2012, p. 72.
[39] Cfr. G. Campesi, Soggetto, disciplina, governo. Michel Foucault e le tecnologie politiche moderne, Mimesis Edizioni, 2011, p. 209. In proposito si veda anche A. Petagine, Profili dell’umano. Lineamenti di antropologia filosofica, Franco Angeli, 2012, p. 86: «L’esercizio di libertà consiste nel quotidiano, costante sofferto a volte, orientamento e riorientamento della nostra azione al fine (…). Il legame tra libertà e felicità è ciò che permette di individuare il senso e la direzione verso cui l’esercizio della libertà diventa efficace, divenendo così anche potere di liberazione».
[40] C. Guerard, Piccola filosofia del mare, cit., p. 56 e p. 74: «nuovo, senza memoria, senza promesse…il mare dispensa saggezza non agisce su ciò che dipende da noi né su ciò che non esiste più…viviamo l’istante qui e ora».
A. Sillitoe, La solitudine del maratoneta (traduzione di V. Mantovani), Minimun Fax, 2013.
[42] Cfr. R. Deakin, Diario d'acqua, cit., p. 97: «il mio unico scopo era perdermi completamente (...) smarrire la strada di casa il più a lungo possibile (...) trovare una scia di nuotate e immersioni in cui dissolvere progressivamente qualsiasi obiettivo». F. Cavalli, Sughero, cit.: «Così mi butto in acqua per scomparire. E nuoto lungo più lungo».
[43] C. Sprawson, L’ombra del massaggiatore nero, Adelphi, 2000, p. 22 e p. 143.
[44] C. Guerard, Piccola filosofia del mare, cit., p. 15. F. Cavalli, Sughero, cit.: «Penso e muoio dentro. Così mi butto in acqua per scomparire. E nuoto lungo più lungo».
[45] G. Vasta, Quando il tuffo in piscina è un capolavoro, La Repubblica 09.07.2014: «Percorrendo avanti e indietro la sua corsia, ricomponendo i pezzi di una storia personale sempre più incerta, Jonás scopre che nuotare è una tecnica di comprensione di meccanismi che fuori dall'acqua, quando si dispiegano su una superficie solida, risultano incomprensibili. Soprattutto, la piscina è lo spazio attraverso cui non solo si misura il tempo ma se ne ripristina il funzionamento, un orologio sui generis che al posto delle lancette prevede il moto uniforme di un corpo orizzontale che solca il liquido, una costante laddove tutto si disgrega». Si legga anche: M. Pomar, La memoteca, Gruppo Editoriale NovantaCento, 2012, p. 71: «Uno due tre, respiro. Uno due tre respiro. Uno due tre, respiro. Uno due tre quattro, respiro. Deve prendere bene il tempo, Michele. Non ha mai avuto confidenza con la respirazione ogni tre bracciate. Tende a perdere il ritmo. Pensa agli affari suoi, mentre tira acqua con la forza giusta Né forte né piano: giusta. Lui nuota per rilassarsi, ma non è un appassionato come gli altri, quei fanatici della corsia accanto. Bracciata, aria, bracciata, bracciata. E pensa a suo figlio. Ha due anni, ed è l’unica ragione per cui vive ancora con quella donna che fatica a riconoscere. Bracciata, bracciata, aria, virata. E come crescerà con questo clima tra loro? Non è meglio fare il passo decisivo e lasciarsi, abbandonare convivenza, rancori e ipocrisie? Allunga la bracciata, Michele, forza, tira acqua e decidi cosa fare di te, porca miseria (…). La esse, devo ricordarmi di fare la esse sottacqua. E spezzare con il gomito. Si può guadagnare in gara breve fino al sei o sette per cento. Devo scendere sotto il minuto, stavolta, anche se la gara è in vasca lunga. E l’obiettivo di quest’anno, su questo non si discute. Forza, Gabriele, è tutta una questione di volontà, dai. Non posso farmi fregare nuovamente da Sandro».
[46] E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito, cit., p. 51. Osservazione questa che vale anche per altri sport, si leggano ad esempio le parole di Sillitoe: «E questo spasso della maratona è il migliore di tutti, perché mi permette di pensare, tanto bene che imparo le cose anche meglio di quando sono a letto durante la notte» (A. Sillitoe, La solitudine del maratoneta, cit., p. 16).
[47] Cfr. Enciclopedia Treccani, voce Nuoto: http://www.treccani.it/enciclopedia/nuoto_res-14b2e48f-8bb2-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/. Nonché: O. De Bernardi, L’uomo galleggiante, ossia l’arte ragionata del nuoto, Stamperia Reale di Napoli, 1794, p. IV: «era virtù il nuoto presso de’ Romani, e nacque così tra essi l’adagio Neque litera, neque natare didicit, per indicare uno sciocco o uno inetto», in http://books.google.it/books?id=mxbB6Y_XpgC&pg=PR2&dq=Essa+ebbe+nel+mare+il+suo+natale&hl=it&sa=X&ei=YuR1VIiyLsjiywOV7YGgAg&ved=0CC4Q6AEwAA#v=onepage&q=Essa%20ebbe%20nel%20mare%20il%20suo%20natale&f=false ).
[48] E. da Rotterdam, Adagio 1.4.13, come si può leggere in http://www.let.leidenuniv.nl/Dutch/Latijn/ErasmusAdagia.html.
[49] M. Morello, Lo Zen e l’arte di nuotare, in http://www.rivistastudio.com/editoriali/politica-societa/lo-zen-e-larte-del-nuotare/, che così conclude: «Accadde proprio col presidente Mao, con Benito Mussolini (che amava farsi riprendere mentre nuotava). E lo dimostra il traversatore dello Stretto di Messina dei nostri giorni». Scrive Marco Pomar, in uno scritto ancora inedito dedicato alla filosofia dei quattro stili del nuoto: «lo stile libero è solitario. O sei introverso, vuoi stare colo con la riga della vasca o on le alghe, oppure sei introspettivo, riflessivo, in cerca di qualcosa. Macini vasche, stai da solo e canti, o cerchi nella memoria la benzina per andare avanti. Lo stile libero à teorica trasgressione, possibilità di fare cose diverse, quelle che poi non si scelgono mai. Il dorso è esibizionismo. Cerchi la libertà nelle nuvole, ami guardare fuori, sentire l’aria che tira, sempre sul chi vive, mai del tutto rilassato. Il dorso è uno stile di vita, in faccia al sole, attento alle cose ma con una quota di incertezza, rappresentata dall’incognita invisibile di chi va incontro al futuro di spalle. La rana è di chi vuole prendersi il suo tempo. Di colui che non ha fretta ma ama il bello, l’armonia del gesto, il rigore della regola, la simmetrica come forma artistica. Il ranista non trascura nulla, non ha un lato preferito, così come non ha un amore dominante sull’altro. Il ranista è colui che ha scelto la lentezza, e ci ha messo un sacco per deciderlo. Il delfino è dei tenaci. Coloro i quali prediligono la forza, delle proprie idee e della verità, dell’abnegazione e dell’allenamento. Niente torti ai delfinisti, loro non capirebbero. Vince il migliore, paga il merito, il talento non cammina da solo».
[50] Cfr. D. Young, Why swimming is sublime, cit: «And when swimming, we are also using more muscle groups. Swimming is called "low impact" because it supports the body while it works – no thumping the asphalt with feet. But it is a particularly taxing exercise. Stomach, chest, upper and lower back, shoulders, biceps and triceps, and the upper and lower legs, including the feet: all working in a co-ordinated and continuous way to keep the swimmer from stopping and sinking. Put simply, even the local pool can suggest danger, by highlighting the continual effort required to simply keep our head above water. Swimming, whether in salt water or chlorine, evokes the sublime by revealing just how vulnerable we are».
[51] Cfr.  R. Stramrood, What is cold water distance swimming?, in  http://www.1vigor.com/article/open-water-swimming-cold-water-acclimation/ : «if you are able to train regularly in these conditions, you should focus your mind on the cold and the changes in your body – become familiar with it. Work on your mind to convince yourself that you can tolerate this while you are in the cold water (rather than when you are in the comfort of home or a warmer swimming pool). Start to build a mental wall that does not allow the cold through» [Se siete in grado di allenarvi regolarmente in queste condizioni, la mente dovrebbe concentrarsi sul freddo, sulle modifiche che apporta al vostro corpo e, infine, familiarizzare con esso. La mente deve lavorare per convincersi che può tollerare tali condizioni, mentre si è nelle acque fredde (piuttosto che quando si è nel comfort di casa o di una calda piscina). Occorre, quindi, iniziare a costruire un muro mentale che non permetta al freddo di penetrarvi].
[52] R. Stramrood, What is cold water distance swimming?, cit.: «the mind is one seriously powerful tool to overrule once convinced».
[53] Si legga la testimonianza di un grande campione come Giorgio Lamberti: «Anche la testa non andava più al passo di gambe e braccia. La passione era scemata e la vita non era più circoscritta solo a una piscina. Ho tentato inutilmente di tornare competitivo. E invece ho vissuto l’esperienza di due Olimpiadi in cui non sono riuscito a esprimere il massimo delle mie potenzialità, forse anche perché ho preteso un po’ troppo da me stesso nella fase di preparazione. Nuotare ai massimi livelli è passione, sacrificio, programmazione, tempo: per essere competitivo devi lavorare cinque ore al giorno. E devi pensare solo al traguardo successivo. Così nel 1993 ho smesso di nuotare. Avevo solo ventiquattro anni» (S. Ercolani, Sfide. Lo sport come non l’avete mai letto, Rizzoli, 2006).
[54] M. Horkheimer - T. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (traduzione di R. Solmi), Einaudi, 1997, p. 54.
[55] Cfr. D. Young, Why swimming is sublime, cit.:«Swimming, whether in salt water or chlorine, evokes the sublime by revealing just how vulnerable we are».
[56] M. Genco, Nuovo trattato generale dei pesci e dei cristiani, Prova d'autore, 2013, p. 5.
[57]Oggi può sembrare ridicola l'idea di apprendere a nuotare "a tavolino", ma forse a quei tempi non era così insolita, se é vero quello che scrive Sprawson sulle lezioni di nuoto in voga nel 1676: «Lady Gimcrack descriveva così il marito che imparava a nuotare: Tiene una rana in una boccia piena d'acqua, legata ai fianchi con una corda, la qual corda Sir Nicholas stringe tra i denti stando sdraiato bocconi su una tavola; quando la rana muove gli arti lui fa altrettanto, e il suo maestro di nuoto gli sta accanto per dirgli se imita bene o male. Quando gli chiesero se aveva mai provato a nuotare in acqua Sir Nicholas rispose: No, ma nuoto molto graziosamente sulla terraferma. Mi accontento della parte speculativa del nuotare, non mi importa della pratica.» (C. Sprawson, L'ombra del massaggiatore nero, cit., p. 33-34).