Pensieri liquidi

sabato 31 luglio 2021

Fuori Linea #11 - Lezione di tennis


Fuori Linea #11 - Lezione di tennis

Il campo da tennis è dello stesso colore e calore inospitale del grande pianeta rosso.

Il marziano che mi batte implacabile sotto una gragnuola di diritti e rovesci e volè è, invece, la Susi. L’ultima palla che mi tira è una fucilata. Prima che mi centri dritta in fronte, tento di pararla lanciandole contro la racchetta. Poi appoggio male il piede ed atterro con la stessa grazia di un sacco di patate, sollevando nubi di terra rossa. Quando mi rialzo la caviglia destra si è gonfiata. La partita è finita. Susi sorseggia sodisfatta una Fanta ghiacciata.

- “Tkz tkz, certo che sei proprio terribile nel giuoco del tennis”.

Chi parla è una ragazzetta magra con la frangetta scura ed un strano accento meneghino incrociato col germanese. L’osservo perplessa, non la conosco anche se mi sembra d’averla già incontrata.

- Tu sei una di quelle che a scuola scioperano sempre e sono pure secchione”, - continua quella imperterrita.

Certo ecco dove l’ho vista: a scuola col gruppetto delle sfaticate menefreghiste che, durante le assemblee, si imbucano in bagno a fumare e combinano danni.

- “Tu invece sei una di quelle che ha rotto il lavabo nel bagno della scuola”, - le rispondo risentita mentre, cautamente, cerco di appoggiare il piede con la caviglia gonfia.

- “Ja, ja, natürlich ich bin”, – risponde ridendo – “pochi minuti di sitzen sul lavabo rotten ed è venuto giù tutto, anche un pezzo di muro”.

- “Son venute giù anche le Madonne che deve aver tirato il parroco”, le dico (all’epoca la sezione sperimentale del glorioso Liceo Brocchi di Bassano era priva di sede ed aveva trovato momentanea collocazione presso la Parrocchia Santa Croce). Ci guardiamo dritte negli occhi e ridiamo insieme di un riso complice.

- “Mi chiamo Emanuela, alcuni mi chiamano la Tedesca, per via delle mie origini anche se sono nata a Milano, ma tu chiamami Manu”.

- “A me, invece, chiamano Pero, per via del mio cognome, ma se lo fai anche tu ti faccio ingoiare la pallina”.

- “Ja, ja, la bàleta, come sei iperbolica – ride, ride sempre – dai vieni, casa mia è qui vicino, ti do del ghiaccio da mettere sulla caviglia”.

In effetti la mia caviglia è sempre più gonfia e malandata, l’osservo mesta e replico in vena di fare della filosofia dello sport:

- “Credo che smetterò di giocare a tennis e tornerò in piscina. Il tennis è completamente inutile nella vita, imparare a nuotare bene, invece, può salvarti la…ehi!, ma, ma, Manu!, mi stai ascoltando? dove te vai?”

Manu, racchetta in spalla e passo spedito si sta dirigendo verso l’Itis. Ora, se la nostra scuola è a schiacciante prevalenza femminile e con ragazzi troppo impegnati a discettare di politica per distrarsi con il sesso. L’Itis, invece, è composto da una popolazione prevalentemente maschile, costantemente travagliata da grandi violente ondate di testosterone. Insomma è meglio starci alla larga, soprattutto, quando aprono il cancello alla fine delle lezioni pomeridiane.

Giunte davanti all’Itis, quella balenga d’una Tedesca, impavida e impudica nel suo corto gonnellino bianco, attacca bottone con tutti i ragazzi che escono dall’istituto. Nel giro di pochi minuti siamo circondate da un’orda di varones le cui intenzioni comincio a temere non siano proprio del tutto benevole. E, infatti, mentre cerco prudentemente di starmene in disparte saltellando sul piede sano, uno di questi ragazzetti brufolosi si stacca dal gruppo, afferra Manu, l’immobilizza serrandole le braccia e, lesto, lesto, le ficca la lingua in bocca.

Non faccio a tempo a riprendermi dallo stupore, che Manu si è già liberata dalla presa, ha afferrato la racchetta e – con la freddezza e la precisione infallibile di un cecchino tedesco – gli ha tirato un terribile diritto in piena faccia. Il poaréto è ancora lì che barcolla quando viene centrato sull’altra guancia da un ancora più terribile rovescio.

Tutt’intorno è calato un silenzio stupefatto, Manu è li ferma, racchetta in pugno, in guardia come se dovesse giocare la finale a Wimbledon.

- “Via!, màta!, andiamo! scapèmo”, - grido, mentre la trascino prima che finisca l’effetto sorpresa di quella blitzkrieg vittoriosamente combattuta a racchettate (in faccia).

Per l’agitazione dimentico la caviglia dolente e provo correre, mentre lei mi sostiene e, in vena di fare della pedagogia aulica, mi spiega paziente:

- “Has du gesehen che nella vita è utile anche giuocare gut a tennis?”

- “Ja, ja, ich habe gesehen, ma da domani torno in piscina”