Pensieri liquidi

domenica 29 settembre 2019

Gran Fondo Tre Fratelli - Edizione Zer0,00






Il mar Adriatico (il cui etimo è incerto potendo derivare sia dalla città di Adria che da quella di Atri[1]), non è altro che un bacino del Mare Mediterraneo (vi comunica attraverso il Canale d’Otranto) che, situato fra la penisola italiana (a occidente) e quella balcanica (a oriente), occupa la depressione tra l’Appennino e le Alpi Dinariche. La sua lunghezza misura circa 800 km, la larghezza, invece, va da 90 a 220 km. Ha una superficie di circa 132.000 km2 e una profondità massima di 1220 m circa[2].
Quanto alle correnti che lo attraversano, ve ne sono principalmente di due tipi: una ascendente che entra dal Canale di Otranto e risale lungo la costa orientale; ed una discendente che si forma lungo la costa occidentale a sud di Ancona. Vi è poi una corrente litoranea con direzione da nord a sud che ha un comportamento vario, causato anche dall'ingresso in mare delle acque del Po.



Per questo, in quel di Atri-Pineto si dice che il “loro” mar Adriatico sia un po’ bagatto: da che appare piatto, si alza in un attimo e sorprende all'improvviso liberando una corrente  che trascina via. Dunque la prima lezione da imparare è: mai sfidarlo.

Ma se si tratta di sfide e tenzoni, Cristina De Tullio, detta anche Generale (e dai suoi fidi sodali, il signor Gatto e la signora Volpe, anche Mon General), non si tira mai indietro, anzi lancia e rilancia.

E così 12 anni orsono, insieme al gruppo amatoriale Spatangus e con il patrocinio del Comune di Pineto, Cristina dal nulla ha messo in piedi la gara di nuoto di acque libere “Trofeo di nuoto Città di Pineto”, che si tiene tutti gli anni il primo sabato del mese di luglio (su varie distanze la più lunga delle quali è 12km) al fine di raccogliere fondi per varie iniziative solidali.

Nel 2018 ha lanciato l’eco-nuotata per l’ambiente: 2.5km da nuotarsi il primo week-end di maggio, al fine di sensibilizzare sui temi dell’inquinamento dei mari.


E, infine, poiché non c’è due senza tre, nel 2019 ha aggiunto, il Gran Fondo Tre Fratelli. Nelle intenzioni del Generale il percorso dei Tre Fratelli doveva partire dalla spiaggia di Pineto per raggiungere una dopo l’altra le piattaforme Eni dette “Tre Fratelli” che si trovano in mare aperto (Fratello Nord, Fratello Cluster e Fratello Est) per poi tornare al punto di partenza. In tutto circa 13 miglia (25km).

Ma a Pineto hanno ragione a dire che il mar Adriatico, è inattendibile. Così mentre durante il sopralluogo di agosto, l'Adriatico, da gran sornione, si è presentato tirato a lucido e più piatto di una piscina; il giorno fissato per la Gran Fondo ha sparigliato le acque come un mazzo di carte e ne è uscito …il Bagatto: mare matto, che ha costretto il Generale, ed i nuotatori al seguito, a sforbiciare (dimezzandole) le miglia delle loro ambizioni.





Dunque, il 21 settembre 2019 alla partenza del Gran Fondo Tre Fratelli erano presenti:
12 nuotatori in solitaria (qui elencati in ordine di arrivo): Erich Persico; Giovanni Ricci; Laura Volpi; Alessandro Florindi; Fausto Antico; Franco Muscarà Monica Cordaro; Daniele Millozzi; Thomas Cogliati; Giovanni Timi.



Due staffette da tre: 
- Alessandro Trevisi - Umberto Mongia - Matteo Borghese; 
- Eva Pozuelo - Amedeo Iannuzzi - Roberta Mauri. Quest’ultimi, gli unici ad avere una cambusa rifornita, giammai ad integratori, barrette e altre tristezze simili, ma a champagne, birra e spritz in abbondanza. Cambusa che è stata scrupolosamente svuotata, fino all’ultima goccia, anche con doccia allo champagne di Amedeo a conclusione della Tre Fratelli.



Una staffetta da due: Cristiana Rossi e Monica Moscatelli.



E infine: 1WR.
Ossia, One-Woman-Relay. 
Ovverossia, io col mio sacco di pive da trascinare, dopo che – per incommentabili ostilità burocratiche - ero inopinatamente rimasta senza il mio prode staffettista.






Ma il mar Adriatico riserva sempre sorprese. E così, il giorno dopo, per chi ha osato affrontarlo al termine della notte (vale a dire il Generale e la sua sodale Volpe), ha elargito circa 4 km di ricci di schiuma, una medusa (graziosamente inanellata intorno al braccio del Generale), libere onde ventose e amare e una luce (quella dell’alba) che sa di mare.



Timeless sea breezes
Sea wind of the night:
you come for no one;
If someone should wake
He must be prepared
How to survive you
(Rainer Maria Rilke – Song of the Sea
 nella traduzione inglese di A.E. Fleming)




giovedì 19 settembre 2019

I fatti della traversata Vulcano - Capo Calavà - 21 Luglio 2019


 fatti della traversata Vulcano - Capo Calavà - 21 Luglio 2019




Antefatto: la traversata

Dall’isola di Vulcano si può scegliere di arrivare a Milazzo con vari mezzi natanti, oppure si può scegliere di arrivarci a nuoto. Colui che optasse di mettersi per mare nuotando, può prendersi lo scialo di scegliere la rotta che più gli garba: Vulcano – Capo Milazzo (23km), oppure Vulcano – Capo Calavà (21km).
La rotta Vulcano – Capo Milazzo è stata percorsa per la prima volta nel 1978, da Gianni Golini (Roma), seguito nel 1986 da Giuseppe Nicosia (Milazzo) che ancora oggi detiene il record. 
In tutto, ad oggi, solo 9 nuotatori, sono riusciti a concluderla ottemperando le regole internazionali del nuoto in acque libere. Oltre ai già citati Golini e Nicosia, costoro sono: Cristina Scotto (2007), Nino Fazio (2011), Cristina Faranda (2012), Enrico Giacomin e io (2016[1]), Fabrizio Mandanici e Tindaro Ullo (2017).
La rotta della traversata Vulcano – Capo Calavà, invece, è stata percorsa per la prima volta, nell’estate 1987, da Nino Fazio, seguito due anni dopo da Cristina Scotto: nuotatori fortissimi, grandi interpreti delle acque libere siciliane ed entrambi con record di traversata (Scotto, nel 2005 e Fazio nel 2006). Oltre a Scotto e Fazio (che l’hanno nuotata e ri-nuotata per ben tre volte) la Vulcano – Capo Calavà è stata percorsa (seguendo le regole internazionali delle acque libere) anche da Fabrizio Mandanici (2005), Daniel Douglas Di Pierro (2016) e da ultimo - ad oggi - da me e Tindaro, di cui di seguito si tenterà di raccontarne i fatti di come è andata e di come ce la siamo spassata.
P.s.: altri due nuotatori hanno percorso questa rotta indossando la muta: Biagio Scibilia e Francesco Aiello (che, peraltro, è stato il primo a percorrerla in senso inverso). 
Maggiori informazioni possono reperirsi al seguente link: 
http://www.baiadigrotta.it/albo_t.html


Fatto primo: come accadde di ritrovarsi per mare

20 giugno 2019 - Sera, nervosismo, zaino da preparare. L’indomani si parte per Vigo, tra due giorni ci sarà da affrontare la Batalla de Rande. Questa è una gara di nuoto, tra le più dure di Spagna, che si svolge nell’Oceano Atlantico per una lunghezza di 27 km che separano Isla Cies da Isla San Simon (passando sotto il Ponte del Rande). Ho passato tutto l’inverno a prepararla.

Il telefonino vibra, è arrivato un messaggio. Leggo: - Ciao Sabri, ti ricordi che l’anno scorso ti preannunciai che volevo fare una traversata in solitaria? Eccola: il prossimo 21 luglio tenterò la Vulcano Capo Calavà. Vuoi venire?
Chi mi scrive tutto trullero e felice è il mio amico Tindaro Ullo di Milazzo (squadra master Nuoto Milazzo).
Miiih – penso stizzita – stasera ci mancava solo il Capo Mavalà! Mavalà proprio, mavalà.
Rispondo con qualche frase di circostanza, forse neppure troppo garbata, e riprendo a ficcare roba nello zaino. Ma il tarlo della traversata è mi è ormai entrato in testa.

Fatto secondo: Ça va sans dire…

Ça va sans dire che, nel volgere di 12 ore, ho accettato l’invito di Tindaro e sono partita ...per la Spagna. Al ritorno la macchina organizzativa - capitanata da Tindaro – si è messa in moto: abbiamo cercato degli sponsor per coprire i costi della traversata, reperito le barche, i piloti, i cronometristi, prenotato l’hotel su Milazzo, chiesto e ottenuto il permesso dalla Capitaneria. Io ho anche reclutato mio cugino Davide come assistente e ripreso gli allenamenti (nonostante le spalle pesanti per la Batalla appena conclusa).




Fatto terzo: come fu che ci ritrovammo a Milazzo

20 luglio 2019 – Di fronte a Milazzo, galleggianti sulla linea dell’orizzonte, le Isole Eolie sembrano vaporare nel sole. Appaiono vicine e sono lontane. Sembrano lontane, ma sono più vicine di quel che appaiono. Una più delle altre: la mitica Vulcania, isola di fumigante bellezza, dove - secondo Virgilio – Efesto ebbe la sua fucina e nel cui cratere – si narra – precipitò Teodorico, il re degli Ostrogoti, insieme al suo cavallo bianco. Del resto, come scrisse Consolo “qui s’intrecciano ancora  e si confondono mito e storia, natura e civilizzazione, poesia e realtà, simboli e metafore[2].






Premesse letterarie a parte, alle 17 p.m. del 20 luglio, lasciano il porto di Milazzo due imbarcazioni Open. La prima, della “Milazzo Coust to Coust” di Peppe Nania e Alessandro Macaluso, vede alla guida Fabio Graziano ed a bordo un assistente di salvamento e medico della CRI, Francesca Sottile, nonché la cronometrista Irene Ridolfo. La seconda, dei cantieri navali Colombo della “Compagnia delle Eolie” vede alla guida Maurizio Privitera ed a bordo il medico Attilio Andriolo, cronometrista Laura Perillo nonché Domenico Marcellini e Davide Fidanza. Last but not least, distribuiti sulle due imbarcazioni sono presenti anche i due soggetti affetti da indomabile ottimismo: Tindaro & Sabrina, il cui motto è: "per tornare in Sicilia nisba ferribò, nisba barche”.




Fatto quarto: la partenza.

21 luglio 2019, ore 5 a.m.: sveglia, colazione e ultimo controllo alle previsioni meteo (che complessivamente paiono favorevoli: mare calmo, poca onda e un po’ di corrente contraria, ma solo nei primi 4/5 km).
Mentre un sole che, pareva senza peso e che pareva la fine e l’inizio di un qualcosa barbaro e straniero, pigliava a salire dal mare con sfumature blu-argento-pompelmo-rosa.  La “Dream-Crew” si radunava, effettuava gli ultimi controlli alle imbarcazioni e poi via partiva alla volta di Vulcano Gelso, proprio vicino al faro, per dare il via alla partenza.




Tindaro & io siamo pronti; anzi abbiamo una certa qual prescia di andare maremare, salesale, di metterci sopra quel mare per arrivare a toccare il punto più prossimo della Sicilia: la Rocca di Capo Calavà, ossia l’imponente impianto granitico-pegmatitico, a picco sul mare, alto 137 metri.



Fatto quinto: la traversata

Fiduciosi che c’inzeffiri un vento sempre costante e benigno, alle ore 6.16 a.m., Irene fischia la partenza di Tindaro. Con le punte dei piedi in equilibrio su un masso, lo guardo allontanarsi spedito. Un minuto dopo Laura fischia anche la mia partenza.







E così Tindaro & io ci mettiamo a nuotare in quel mare vivò, con le due imbarcazioni che cercano per noi la rotta più spedita tra le terre di Vulcania e quelle di Sicilia: terra, acqua, terracqua, acqua, acqua e ancora acqua, nella sterminata solitudine di quella grande Arcamalecca, millunanotte loquente che è il mare (e, soprattutto, il mare di Sicilia).








Fatto sesto: … e son dolori

Il mare è di un blu tirato a lucido e sfavilla come una pietra preziosa, ci sarebbe solo da nuotare infilandosi e sfilandosi come Colapisci tra le sue pieghe. 
Ma la corrente ha prima ha preso un verso ostinato e contrario alla nostra direzione, poi inizia a spingere trasversale e per di più si alza il mare. Perché c’è sempre un mare che si pare innanzi a chi va ramingo in cerca d’avventura. Inoltre, poiché in natura non ci sono premi o punizioni, ci sono conseguenze, la prima conseguenza è che fatichiamo di più e avanziamo di meno. La seconda (ma solo per me) è che dalla spalla sinistra ad ogni bracciata si irradia un dolore rabbioso.




Mi arrendo e alla crew chiedo un antidolorifico. Il dolore cala ma il mare si alza ancora e, conseguenza terza, rallento e rallento. Al rifornimento successivo, i volti sulla barca sono tetri e preoccupati. Laura, che cronometro in pugno non mi perde mai di vista, mi avvisa che ho abbassato il ritmo, e mi consiglia di fare più attenzione alla bracciata, che non spingo più fino in fondo. Ascolto il suggerimento e cerco di concentrarmi sulla tecnica. Laura conferma c’è qualche miglioramento, ma il dolore insiste e il ritmo permane lento (55/56 bracciate al minuto, contro le 65/67 di Tindaro).

Fatto settimo: arrivarono!

Così mentre mi sembra di nuotare come se strappassi coi denti il mare, Tindaro è ormai un puntino lontano che punta spedito e sicuro verso Capo Calavà.
Anzi no! Devia e punta a destra, alla spiaggia, mentre via radio tra le barche inizia una discussione su quale sia la rotta migliore da prendere per l’ambito approdo.
Le opinioni divergono: la barca di Tindaro punta con decisione alla spiaggia, la mia con altrettanta decisione punta dritta a Capo Calavà.
Nel frattempo, Tindaro, viene raggiunto dalle barche di familiari e amici, che gridano e lo incitano e gli fanno segno di qua, di qua, amunì! Forza! “Non ci sto capendo più niente!”  - Risponde Tindaro e testa bassa riprede a nuotare per arrivare alla spiaggia dopo 7 ore e 27 minuti dal fischio di partenza, con un gran finale di terribilio di bracciate a delfino.

Capo Calavà lo vedo è lì, smetto di pensare alla spalla e ricorro al vecchio trucco della conta: uno – due – tre – quattro ..zz. che male. Non ci pensare, ripeti: uno, due, tre, quatr…zz., ma ‘sta corrente? Una tregua? Uuuhhhh, alzo la testa, Capo Calavà è lì, lì, vicinissimo, ma mi pare di non arrivare mai. Salto il rifornimento e cerco di spingere, di nuovo dolore, non importa, ci sono... ancora qualche metro – mannaggia ma quanto sono lunghi i metri a Capo Calavà? Un-du-tri-tocco, mi alzo in piedi alzo le mani, Laura fischia la fine: 7h58min10sec.

Fatto ottavo: gran finale sciampagnino e mentiroso

Terra! Finalmente! E felicità assai, assaissima.
E persoprammercato, con i piedi ancora in acqua, due bottiglie di champagne da stappare, davanti a tutta la crew, la cuginanza, il parentado, gli amici, Tindaro che giura solennemente: mai più! Questa e l’ultima….“E subito riprende a traversare come dopo il naufragio un superstite lupo di mare” (cit. Pseudo-Ungaretti).
         






Fatto nono: ringraziamenti (doverosi)      

Anzitutto io di persona personalmente ringrazio Tindaro che, con grande generosità mi ha invitato a condividere con lui questa traversata e poi si è fatto in quattro per organizzarla al meglio.

Si ringraziano altresì le rispettive squadre (Nuoto Milazzo e Gonzaga Sport Club) con i rispettivi coach (Pippo Nicosia e Paolo Felotti).

Fondamentali per la riuscita sono stati ovviamente tutti gli appassionati componenti della crew, che si ringraziano uno per uno: i piloti Fabio Graziano e Maurizio Privitera; il medico Attilio Andaloro, il medico e assistente di salvamento, Francesca Sottile, le cronometriste Irene Ridolfo e Laura Perillo, nonché Domenico Marcellini e Davide Fidanza.
               

Fatto ultimo: gli sponsor

La traversata Vulcano – Capo Calavà è stata patrocinata dalla Nuoto Milazzo ed organizzata da Tindaro Ullo. Inoltre è stata interamente sponsorizzata da: Gonzaga Nuoto (Milano); SCS Concept srl; Nuoto Milazzo; Pizzeria cucina mediterranea Doppiozero; Hotel Il Principe Milazzo; Il Lido Baia Del Tono Milazzo e il Rotary club Milazzo, che si ringraziano vivamente.







[1] Settembre 2016, insieme ad Enrico Giacomin, riuscita grazie all’infaticabile organizzazione di Cristina Faranda e all’aiuto del Nuoto Milazzo.
[2] V. Consolo, Le pietre di Pantalica, Mondadori, p. 147.